È ormai passato un mese dall’alluvione che ha colpito la Romagna.
L’acqua si è ritirata e il fango è stato rimosso, ma quante cose non ci sono più? Non ci sono più molti arredi, macchine, elettrodomestici, coltivazioni, … Non ci sono più le abitudini di prima e i normali tempi di scansione delle giornate per le persone che lì vivono o lavorano.
Non ci sono più vite umane. Sono, infatti, 15 le persone accertate che hanno perso la vita. La maggior parte di loro nel tentativo di salvare qualcun altro o le proprietà personali.
In montagna ci sono ancora 28 frazioni isolate. Altre sono collegate da strade ufficialmente chiuse con segnali di “divieto d’accesso” ma che continuano a essere percorse per mancanza di alternative. Le frane censite sono arrivate a 978. Sono ancora numerosi gli sfollati con ordinanze di sgombero in atto che non sanno quando potranno rientrare nelle loro abitazioni.
In tutto ciò, il tempo meteorologico non aiuta, anzi: continua a piovere tutti i giorni, con temporali anche piuttosto importanti, e questa situazione ostacola gli interventi sul territorio. Le fogne al momento non riescono ad assorbire e smaltire l’acqua piovana. Non si escludono, quindi, possibili allagamenti nelle aree urbane, né l’eventuale peggioramento di dissesti già presenti.
Mentre i romagnoli, con il supporto di migliaia di volontari che da tutta Italia hanno raggiunto le zone colpite, spalano cantando “Romagna mia” e mostrando ancora una volta tutta la loro forza di volontà, si ricercano le cause e le colpe di quello che però è, a tutti gli effetti, “solo” il risultato del cambiamento climatico.
Ho trovato interessante un articolo del prof. Stefano Caserini, professore di mitigazione dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano, quando sostiene appunto che ciò che è accaduto non è certo la conseguenza del maltempo ma del cambiamento climatico e che lo stesso impatterà e sta già impattando su tutti i settori della nostra vita.
“Ci saranno conseguenze economiche, ambientali, sociali ma anche sulle relazioni tra esseri umani. Le fasce più fragili, più povere della società, sono e saranno le più colpite perché prive di meccanismi di difesa.” Sono, infatti, quelle che hanno meno difese e quindi meno possibilità concrete di allievare l’impatto del riscaldamento globale.
Il professore fa poi una riflessione, nel suo ultimo libro “Sex and the climate”, sulle conseguenze economiche, ambientali, sociali del cambiamento climatico. In particolare, ho trovato interessante la riflessione che mette alla luce come il cambiamento climatico influisca sui sentimenti o sul desiderio di congiunzione intellettuale e fisica fra gli esseri umani. Già oggi le concentrazioni di CO2 influiscono sull’umore e i livelli di serotonina, le alluvioni interrompono storie d’amore e le ondate di calore contribuiscono a rendere poco piacevoli attività normalmente gradevoli. Anche l’eros e il clima sono, quindi, due sfere connesse.
Siamo tutti interessati dall’impatto del cambiamento climatico. Cosa possiamo fare? Se la Terra, invece di considerarla nostra “madre”, la pensassimo come nostra “amante”? L’amore filiale spesso fa fatica a manifestarsi e, soprattutto, a tradursi in un rapporto maturo e rispettoso, dice Caserini. Un amore romantico, una passione amorosa per la natura non potrebbe meglio mobilitare le persone?
Mentre ci pensiamo, possiamo fare anche subito una cosa importante. Confcooperative Romagna ha promosso una raccolta fondi per sostenere chi è stato colpito dall’alluvione. Questa campagna è importante perché i fondi raccolti andranno ad aiutare direttamente i nostri colleghi Soci Cooperatori della Romagna e tutte le cooperative di tutti i settori che hanno avuto sedi e macchinari allagati o distrutti.
Se il cambiamento climatico incide sulle relazioni, facciamo che almeno non incida sul nostro spirito solidale.