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Decreto Lavoro: novità e prospettive

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Il Decreto Lavoro è diventato Legge. Analizziamo le principali misure adottate.

Addio reddito di cittadinanza: da gennaio arriva l’Assegno di inclusione, di cui potranno beneficiare i nuclei con disabili, minori, over 60 e, dopo le modifiche del Senato, anche i componenti svantaggiati inseriti in programmi di cura e assistenza certificati dalla Pubblica Amministrazione.
L’importo è fino a 6mila euro l’anno, 500 al mese, più un contributo affitto (per le locazioni regolari) di 3.360 euro l’anno, 280 al mese.
Se il nucleo è costituito da tutte persone almeno 67enni o disabili gravi l’importo mensile è di 630 euro (7.560 l’anno) più 150 euro di contributo d’affitto (1.800 l’anno). Un’altra novità introdotta al Senato è che i soldi della Carta d’inclusione non potranno essere utilizzati per giochi che prevedono vincite in denaro o altre utilità ma per l’acquisto di sigarette, anche elettroniche, di derivati del fumo, di giochi pirotecnici e di prodotti alcolici. La misura è erogata per 18 mesi.
Poi, dopo un mese di stop, è rinnovata per periodi ulteriori di 12 mesi. I richiedenti devono essere residenti in Italia da almeno cinque anni, avere un Isee di 9.360 euro, e un reddito familiare inferiore a 6.000 annui, e non si devono possedere navi, imbarcazioni, autoveicoli di cilindrata superiore a 1600 cc. o motoveicoli di cilindrata superiore a 250 cc.
Dopo la correzione del Senato c’è una novità per le donne vittime di violenza: la norma permetterà loro di costituire nucleo familiare indipendente da quello del marito anche ai fini Isee per l’accesso all’Assegno di inclusione. Inoltre, queste donne potranno avvalersi di percorsi di inclusione personalizzati.
L’Assegno di inclusione si richiede on line all’Inps. Per dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, scatta la reclusione da 2 a 6 anni.
Un’altra novità contenuta nel provvedimento è nella nuova definizione dell’offerta di lavoro che, se rifiutata, fa perdere il sussidio. Il componente del nucleo familiare beneficiario dell’assegno di inclusione, attivabile al lavoro, è tenuto ad accettare in tutta Italia un rapporto a tempo indeterminato o a termine di durata oltre i 12 mesi; un lavoro a tempo pieno o a tempo parziale non inferiore al 60 per cento dell’orario a tempo pieno; quando la retribuzione non è inferiore ai minimi salariali previsti dai contratti collettivi.
Se il contratto offerto è a tempo determinato, anche in somministrazione, il luogo di lavoro non deve distare più di 80 km dal domicilio del soggetto o sia raggiungibile in non oltre 120 minuti con i mezzi di trasporto pubblico.
Inoltre, sempre dopo un correttivo al Senato, si prevede che in caso di nuclei familiari con figli under-14 l’obbligo di accettare il contratto (anche a tempo indeterminato) scatta solo entro una distanza lavoro-domicilio di 80 Km o entro un limite temporale di 120 minuti con i mezzi di trasporto pubblico.
Per evitare che l’estensione dell’assegno di inclusione agli svantaggiati presi in cura dai servizi socio-sanitari-territoriali penalizzi l’integrazione ai disabili cambia ancora la scala di equivalenza sulla quale sono parametrati il requisito reddituale per accedere all’Assegno di inclusione e l’ammontare finale dell’aiuto.
In pratica, si tratta di un “punteggio” associato a ciascun componente del nucleo familiare, che fa crescere la soglia di reddito ammessa o il valore del beneficio quanto più è numerosa la famiglia o più critica è la sua situazione.
Nell’ultima versione, acquista un peso più rilevante la presenza di un ulteriore componente con disabilità o non autosufficiente (che “vale” da solo 0,5 punti). Mentre si aumenta dello 0,2 per ciascun altro componente adulto in condizione di grade disagio bio-psico-sociale e inserito in programmi di cura e di assistenza certificati dalla Pubblica Amministrazione.
La soglia dell’Isee familiare per accedere al sussidio resta di 9.360 euro (in linea con quella del reddito di cittadinanza).
Ai datori di lavoro che assumono a tempo indeterminato (incluso l’apprendistato) i beneficiari del nuovo assegno di inclusione è riconosciuto un esonero contributivo del 100%, fino a 8mila euro l’anno, per 12 mesi. L’esonero sale a 24 mesi in caso di trasformazione di un contratto a termine.
In caso invece di assunzione con contratto a tempo determinato o stagionale è riconosciuto uno sgravio del 50%, fino a un massimo di 4mila euro l’anno, per 12 mesi e comunque non oltre la durata del rapporto di lavoro.
Un altro incentivo è previsto anche per le nuove assunzioni, dal 1° giugno a fine anno, di giovani con meno di 30 anni che non lavorano e non sono inseriti in corsi di studi o di formazione, registrati al programma “Iniziativa Occupazione Giovani”, pari al 60% della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali per 12 mesi.
Questo incentivo è cumulabile con altri incentivi. In caso di cumulo, l’incentivo è riconosciuto nella misura del 20% della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali per ogni lavoratore assunto.
Dal 1° settembre debutta il Supporto per la formazione e il lavoro, quale misura di attivazione al lavoro, mediante la partecipazione a progetti formativi e di accompagnamento al lavoro, o comunque di politica attiva.
La misura è utilizzabile dai componenti dei nuclei familiari, di età compresa tra 18 e 59 anni in condizioni di povertà assoluta, con un valore Isee, in corso di validità, non superiore a euro 6.000 annui, che non hanno i requisiti per accedere all’assegno di inclusione.
La richiesta avviene on line, e il richiedente è convocato presso il servizio per il lavoro competente, per la stipula del patto di servizio personalizzato, dopo la sottoscrizione del patto di attivazione digitale.
Dopo di che, sempre attraverso la piattaforma, l’interessato può ricevere offerte di lavoro o essere inserito in specifici progetti di formazione. Si prevede un beneficio economico di 350 euro al mese per tutta la durata della misura, entro un limite massimo di dodici mensilità. La somma è erogata da Inps mediante bonifico mensile.
Il Governo prova a rilanciare i percorsi di scuola lavoro. Partiamo dalle misure per qualificare e rendere più sicura la scuola-lavoro, oggi parte integrante del percorso di studio negli ultimi tre anni delle superiori, con almeno 210 ore negli istituti professionali, 150 nei tecnici e 90 nei licei.
La misura, resa obbligatoria con il governo Renzi, è stata poi smontata dagli esecutivi Conte (e i fondi dagli originari 100 milioni l’anno sono stati più che dimezzati). Facendo seguito alle richieste emerse dai tavoli di confronto svolti nei mesi scorsi con sindacati, scuole e stakeholders, si punta a rendere i percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento (Pcto, l’ex alternanza) i più sicuri possibili.
Ad esempio, prevedendo che le aziende compilino una specifica sezione nel DVR – il Documento di Valutazione dei Rischi – se vogliono accogliere gli alunni “on the job”. Ciò al fine di garantire ai ragazzi luoghi adatti e sicuri per svolgere le ore previste di formazione pratica (l’alternanza è scuola e lo studente non svolge un lavoro, ma un’attività assimilabile).
Si punta anche a individuare un Docente Coordinatore della progettazione del percorso, che segua cioè passo passo i ragazzi nelle ore “on the job”. Anche qui lo spirito del Governo è avere veri percorsi di scuola-lavoro e costantemente monitorati.
Si riconosce la maggiorazione dell’Assegno Unico Universale, prevista solo per i nuclei in cui entrambi i genitori siano titolari di reddito da lavoro, anche per i minori appartenenti a nuclei ove, al momento della presentazione della domanda, è presente un solo genitore lavoratore poiché l’altro risulta deceduto.
Sui contratti a termine, viene allentata la stretta operata dal cosiddetto decreto Dignità (Dlgs 15 giugno 2015, n. 81), introducendo nuove causali, alle quali occorre far riferimento in caso di proroga o rinnovo dopo i primi 12 mesi di durata.
Le ragioni che giustificano il proseguimento dopo i primi 12 mesi del contratto a termine “a causale” sono tre: la prima sono i casi previsti dai contratti collettivi (articolo 51 Dlgs 81 del 2015).
La formulazione del provvedimento va interpretata in senso ampio intendendo sia la contrattazione nazionale, che quella aziendale o territoriale. In assenza della previsione della contrattazione collettiva si apre alla stipula di patti individuali, che sono la seconda “causale”.
Cioè, il contratto a tempo determinato può proseguire oltre i 12 mesi per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti, entro la scadenza temporale del 30 aprile 2024.
La terza “causale” fa riferimento alla sostituzione di altri lavoratori. Dopo le modifiche al Senato d’ora in avanti, anche i rinnovi, e non solo le proroghe, saranno senza causali fino a 12 mesi.
Non solo decreto Dignità sui contratti a termine, con la cancellazione delle rigide causali legali del 2018 e un’ampia apertura alla contrattazione collettiva, ma il Governo attuale smonta anche il decreto Trasparenza, in vigore dallo scorso agosto, andando spesso oltre la direttiva Ue e scaricando sulle imprese una mole di adempimenti inutili.

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