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Dove sono i lavoratori?

Mondo Del Lavoro Dove Sono I Lavoratori

Tramite le pagine dei nostri ridisegnati social ricerchiamo, in modo trasversale, almeno 100 figure.
Sono profili che vanno dal laureato all’operaio semplice, ma, per tutti, persiste una grande difficoltà di reperimento delle risorse.
Sullo sfondo continui attacchi alla cooperazione, vista e soprattutto descritta dai media come forma di lavoro border line.
L’abbiamo già detto e ripetuto: ci sono senz’altro cooperative spurie ancora oggi, ma fare di tutta l’erba un fascio diventa deleterio nei confronti di chi, come noi, è presente da oltre 30 anni sul mercato dei servizi.
Ma dove sono i lavoratori?
L’aumento delle dimissioni dal lavoro in Italia nel 2021 e 2022 è stato un fenomeno importante, per rapidità e portata. Ma se si allarga l’orizzonte agli anni prima della grande recessione si scopre che le grandi dimissioni non sono un fatto nuovo.
Anche per i fenomeni economici la relazione tra ciò che misuriamo e ciò che pensiamo esistere è assai stretta. Alle volte però corriamo il rischio di fraintendimenti riguardo l’esistenza e la natura di alcuni fenomeni, proprio a causa di errori in come li misuriamo. Qualcosa di simile sembra essere accaduto con le cosiddette “grandi dimissioni”, l’aumento improvviso e quantitativamente significativo delle uscite volontarie dal lavoro avvenuto in Italia tra il 2021 e il 2022.
Del fenomeno si è ormai dibattuto a lungo. Nel frattempo, il tasso di dimissioni ha toccato un nuovo picco nel secondo trimestre del 2022, raggiungendo il 3,2 per cento, il suo massimo negli ultimi 15 anni. Le interpretazioni date nel dibattito pubblico sono state le più diverse, ma in sostanza sono raggruppabili in due categorie: l’interpretazione della “normalità” e quella della “eccezionalità”. Secondo la prima, le grandi dimissioni sono state un fenomeno in linea con lo scenario macroeconomico positivo degli ultimi due anni, mentre secondo i sostenitori della seconda tesi, si tratta invece di qualcosa di eccezionale, frutto del periodo straordinario che i lavoratori hanno vissuto durante la pandemia da Covid-19. Ma proprio sulla eccezionalità, o unicità, del fenomeno vi è stato un fraintendimento tra ciò che misuriamo e ciò che pensiamo esistere.

L’origine della confusione risiede nel tipo di dati principalmente utilizzati finora per misurare le grandi dimissioni, ovvero tratte dal Sistema informativo statistico delle comunicazioni obbligatorie rilasciate dal Ministero del Lavoro ogni tre mesi, e i relativi allegati statistici. Nelle tavole del Ministero, infatti, la serie storica sul numero di dimissioni inizia col primo trimestre del 2012. Non va molto meglio nei microdati sulle comunicazioni obbligatorie rilasciati a fini di ricerca, che sono stati utilizzati da diversi centri di ricerca in questi mesi per aggiungere dettagli all’analisi del fenomeno, ma che comunque non si spingono più indietro del 2010. I numeri misurati nei due anni passati, quindi, sono record relativi al solo post-2010, un periodo non casuale della storia economica del nostro paese, caratterizzato da livelli di disoccupazione molto elevati e scarsissima crescita. Dal 2010 in poi, la prima vera fase con minor disoccupazione e crescita più sostenuta è arrivata proprio dopo le ondate di Covid-19. Per avere un periodo comparabile occorre tornare indietro ai primi anni Duemila, sicuramente prima della grande recessione del 2009. Ma ciò non è possibile con i dati sulle dimissioni rilasciati dal Ministero del Lavoro. È possibile però ricorrere ad altri dati rilasciati congiuntamente da Ministero del Lavoro e Inps, un campione di lavoratori dipendenti (e autonomi) desunti dalle banche dati Inps, che contiene informazioni sulle dimissioni già a partire dal 2005. E andando indietro fino a quell’anno, l’immagine complessiva del fenomeno cambia.

Il tasso di dimissioni calcolato sulla base delle due diverse banche dati. Il denominatore del rapporto è in entrambi i casi il numero totale di occupati dipendenti (così come misurato dall’Istat). A numeratore il numero di dimissioni: nel caso dei dati Inps-MinLav è relativo al solo settore privato, ma non è comunque un aspetto problematico dal momento che le dimissioni volontarie riguardano dipendenti pubblici solo nell’1 per cento dei casi. I dati delle Note trimestrali sono aggiornati molto rapidamente e dunque arrivano fino al terzo trimestre 2022, mentre quelli MinLav-Inps si fermano al 2018. Nel periodo 2012-2018, però, le due banche dati coesistono e il tasso di dimissioni calcolato su di esse sembra essere molto coerente, rassicurandoci sulla validità del confronto tra le due serie storiche. L’andamento parla da sé: tra il 2006 e il 2008 il tasso di dimissioni è stato quasi sempre più alto dei livelli raggiunti nel 2021 e 2022, con il massimo dal 2005 in poi raggiunto nel quarto trimestre del 2007, quando si è dimesso il 4,1 per cento di tutti i lavoratori dipendenti (un valore più alto di ben un terzo rispetto ai massimi raggiunti nel 2022). Il tasso di dimissioni è poi sceso ed è rimasto su livelli assai più bassi negli anni successivi alla crisi. Tra l’altro, è un andamento molto simile a quanto osservato in Francia.

Dunque, tanto rumore per nulla? Il fenomeno delle grandi dimissioni non rappresenta un unicum e l’interpretazione della “eccezionalità” sembra poggiare su basi fragili alla luce dei dati sul periodo precedente alla grande recessione. Ancora una volta è bene quindi ricordare che tra il 2021 e il 2022 non abbiamo osservato un esodo di massa dal mondo del lavoro (tanto è vero che il numero di lavoratori dipendenti ha toccato, quello sì, un suo massimo storico) né di una rivoluzione nella concezione del lavoro salariato. Sicuramente l’esperienza della pandemia, il lockdown, lo stop dal lavoro forzato e tutto ciò che il paese ha vissuto dopo l’arrivo del virus hanno avuto un impatto psicologico su molti lavoratori e probabilmente sulle scelte di alcuni di loro in materia di lavoro. Sicuramente, inoltre, l’aumento di dimissioni nel 2021 e nel 2022 è stato inaspettato e assai rapido, più veloce di quello di altri indicatori della crescita economica e del mercato del lavoro, ed è stato un segnale non secondario della vitalità del sistema paese in questi mesi. Tuttavia, proprio perché livelli simili di dimissioni si erano già registrati in una fase del mercato del lavoro più vicina a quella odierna rispetto agli ultimi quindici anni, la spiegazione della “normalità” e della coerenza con il quadro macroeconomico complessivo sembra la più adatta per inquadrare il fenomeno.

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